Lo smart working, nella sua accezione riduttiva di “lavoro domiciliare”, è di fondamentale importanza per garantire la sicurezza fisica nell’organizzazione del lavoro durante la pandemia. Questa esperienza individuale e sociale rischia però di lasciare un’eredità pesante: cosa succederà alla fine dell’emergenza? Quali tendenze imprenditoriali si stanno manifestando sin d’ora, e come approcciarle in una dimensione di contrattazione collettiva?
Per discuterne, su iniziativa della segreteria nazionale, First Cisl ha riunito in modalità webinar, il 27 gennaio, i suoi quadri sindacali che svolgono contrattazione collettiva a tutti i livelli. Altissima la partecipazione: oltre 250 persone collegate, a dimostrazione di quanto il tema sia sentito. Il settore bancario non si presenta certo “disarmato” di fronte alle nuove sfide poste dal potenziale allargamento del lavoro agile. Il Contratto collettivo nazionale di lavoro Abi, rinnovato il 19 dicembre 2019 (appena qualche mese prima del lockdown nazionale) ha definito infatti un preciso assetto di regole per le banche associate: norme immediatamente applicabili e adattabili ai vari contesti aziendali, ma solo mediante accordi collettivi. E ciò non certo per limitare o ingessare l’utilizzo dello smart working, ma piuttosto per scongiurarne la deregulation, l’uso a fini di dumping normativo e/o retributivo tra categorie di lavoratori.
La scelta politica compiuta dal Ccnl Abi, alla luce di quel che è accaduto, si è rivelata lungimirante, e anche il comparto assicurativo potrebbe adottare analoghe norme nel nuovo Contratto nazionale. Oggi le aziende stanno chiedendo con crescente frequenza di utilizzare lo smart working, non solo in chiave emergenziale sanitaria, ma anche per introdurre modifiche organizzative strutturali, per flessibilizzare e remotizzare il lavoro. Si rischia di declinare lo smart working come nuovo ammortizzatore sociale, con proposte di riduzione delle sedi fisiche, risparmi sulle utenze, sulla logistica, etc…
“L’innervazione di obiettivi di risultato, tipici del lavoro autonomo, all’interno di un rapporto subordinato senza vincoli di orario e soggetto a pervasivi controlli digitali è una suggestione che deriva dalla legge 81/2017. Ma nel settore bancario, caratterizzato dal problema delle eccessive pressioni commerciali, la sua adozione comporterebbe rischi ulteriori ed eccessivi sia per i dipendenti sia per i clienti, e pertanto è oggi da escludere – ha osservato il responsabile di C.A. First Domenico Iodice – Inoltre un impiego delle flessibilità organizzative in ottica di mero risparmio di costi indiretti del lavoro, senza cioè una visione di prospettiva condivisa con il sindacato, avrebbe effetti devastanti: destrutturazione del rapporto di lavoro, individualizzazione e relativizzazione dei diritti, crisi della socialità legata ai luoghi di lavoro e magari anche della rappresentanza sindacale, che pure va oggi ripensata”.
Il segretario generale Riccardo Colombani, ad esito del dibattito, che avrà ulteriore seguito anche ai vari livelli dell’organizzazione coinvolti, ha concluso: “Il nostro approccio come sindacato deve essere pragmatico: né esaltare né demonizzare lo smart working. Nel settore privato siamo i primi in Italia ad avere costruito una regolamentazione collettiva di settore e ad avere riconosciuto il diritto alla disconnessione a tutte le lavoratrici e i lavoratori, non solo a chi è in smart working. Insomma, abbiamo oggi nel Ccnl Abi una disciplina normativa adeguata, aggiornata ed esigibile, applicabile a tutti i contratti individuali di smart working. Abbiamo inoltre finalmente una modalità di contrattazione aziendale forte, che ci permette cioè di poter scegliere e condividere con le nostre controparti aziendali gli eventuali opportuni adattamenti della normativa di settore, come da demando del Ccnl. È però fondamentale che le banche continuino a garantire la loro presenza sui territori attraverso filiali ed hub aziendali, in cui conservare la dimensione collettiva della vita di relazione. Anche il coworking è una auspicabile risposta a questa esigenza di socialità delle persone del lavoro”.